Preferisco la Coppa by Carlo Ancelotti

Preferisco la Coppa by Carlo Ancelotti

autore:Carlo Ancelotti [Ancelotti, Carlo]
La lingua: ita
Format: epub
editore: BUR
pubblicato: 0101-01-01T00:00:00+00:00


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Panchine traballanti

Capita che mi metta in piedi davanti allo specchio e faccia il contorsionista. Giro il collo e mi fisso il sedere. Le mie chiappone non sono un bello spettacolo, ma non è questo il punto. Le guardo e penso: “Quante ferite ci sono, anche se non si vedono”. Una scossa dietro l’altra sulla pelle. Un terremoto con epicentro proprio lì, secco, senza onda d’urto, che nel tempo mi ha aiutato a capire: ho il culo antisismico.

Appoggiato su panchine che non hanno mai smesso di traballare, ha dovuto sopportare ogni grado della scala Mercalli. Movimenti tellurici e sbalzi di corrente. Un fastidio che va avanti a oltranza: in principio fu un pizzicotto, poi le cose sono degenerate. Gli altri stanno comodi, io sono seduto su un vulcano. Da sempre.

Vivo sull’orlo dell’esonero. Lasciata la Nazionale di Sacchi, alla Reggiana in serie B sono diventato un allenatore vero: dopo tre mesi mi volevano già cacciare. C’è sempre una prima volta. Alla settima giornata eravamo ultimi, tre sconfitte e quattro pareggi, nessuno peggio di noi. Un’Armata Brancaleone e Brancaleone ero io, fra l’altro squalificato dalla Federazione perché non avevo ancora il patentino giusto per allenare. Mi ero trovato il mio vice, Giorgio Ciaschini, sfogliando l’Almanacco illustrato del calcio. Il preparatore atletico era un ex discobolo, Cleante Zat. In squadra c’era il francese Di Costanzo detto il Maradona dei poveri: del Pibe de Oro aveva il modo di calciare le punizioni, dei poveri tutto il resto. Bella compagnia di giro. Ero stato anche contestato dai miei concittadini, un po’ come essere ripudiato dalla famiglia. Colpa di Reggiana-Cosenza. Vincevamo 1-0: loro erano in nove dopo due espulsioni, noi continuavamo ad arrivare davanti alla porta con chiaro atteggiamento natalizio, in altre parole diventavamo di colpo tutti più buoni, sceglievamo chi doveva segnare, una roba mai vista. «Tira tu.»

«No, dai, tocca a te.»

«Ma no, per carità, fai gol tu che oggi è il tuo compleanno.»

Di Costanzo alzava la voce: «Posso farlo io?».

I compagni in coro: «No, tu sai tirare solo le punizioni».

A pochi secondi dalla fine, all’ultima azione, il loro portiere ha calciato lunghissimo e il pallone è arrivato nella nostra area. Sono saltati in tre: dei nostri Gregucci e il portiere Ballotta che già allora era vecchio, dei loro Cristiano Lucarelli che già allora era comunista. Due su tre si sono scontrati in volo: Ballotta e Gregucci. Lucarelli ha segnato a porta vuota. 1-1 e contestazione globale.

All’ottava di campionato ci siamo arrivati dopo una settimana di ritiro: o vincevo o mi mandavano a casa a pedate. La panchina-dance (ballava tantissimo) prima versione. La partita decisiva era Reggiana-Venezia, decisiva anche per i nostri avversari. Molti pensavano: “Oggi Ancelotti se ne va”. Sbagliato. Dopo un quarto d’ora vincevamo già 3-0. Anzi, sbagliatissimo. A dicembre eravamo primi in classifica, a fine stagione siamo stati promossi in serie A. Dalla contestazione al trionfo: in attesa degli specialisti, il primo miracolo italiano l’avevo fatto io.

Nonostante il terrificante mercato di gennaio. Giocavamo con il 4-4-2, i centrocampisti centrali Mazzola e Colucci inizialmente non davano affidamento perché erano ancora giovani, quindi abbiamo deciso di intervenire.



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